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Sic transit Gloria mundi

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È morta l'Annita. Aveva ottantanove anni. Me la sono trovata davanti nei manifesti mortuari alla fermata dell'autobus al cimitero monumentale, già cremata da giorni. Non sapevo neanche che il suo nome si scrivesse con due enne. La mia prima bambola di pezza con la tuta arancione, regalo suo si dice, la chiamavo con una sola, come la moglie di Garibaldi, a volte addirittura senza l'A iniziale, 'Nita. La mia mamma ride ancora quando lo racconta. Era la moglie del padrone, l'affittuario dei locali dove i miei lavoravano. Quello che minacciava lo sfratto ogni tre per due, e che faceva i dispetti da dietro casa allagando ogni notte il pavimento del locale con la gomma da giardino. Era piccola, emessa e silenziosa, l'Annita, l'opposto del marito che pareva sempre Mussolini nell'atto di far le prove a cavallo a Predappio. Gestivano la cartolibreria giocattoli, di là dall'abitazione che divideva in due gli spazi pubblici. Invidiavo un po' quella casa con

Dopo le dieci

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Giovedì abbiamo avuto la consueta lezione online di ebraico biblico e c'erano da tradurre le "tende dei giusti" del salmo 118. E così è venuto fuori, scorrendo il dizionario, che le lettere ebraiche per dire "piantare le tende" sono le stesse della luna che "splende" in Giobbe. In modo del tutto irrazionale, ascientifico e simbolico al limite dell'esoterico, mi sono lasciata trasportare da questa idea che esista una relazEeione tra il piantare le tende e lo splendere della luna. Giovedì è stato anche il giorno in cui si è iniziato a litigare social sul coprifuoco. E uno che voleva fare il sagace moralizzatore ha chiesto con quell'antipatico tono petulante e sarcastico cosa avessimo da fare di così importante dopo le dieci, allegando la sfilza retorica del pensare comune di quel che accade al buio: ubriacarsi nei pub, andare al mercato nei parchi, il puttantour, la visita all'amante. Che altro c'è da fare, in fondo, dopo le d

MORTO CHE PARLA

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    Che oggi mi ero presa un giorno di ferie perché sarei andata fin su qualche collina dei dintorni per stare seduta al vento e al sole a riflettere sulla vita, l'universo e tutto quanto. E invece son rimasta chiusa in casa a far vuoto in camera delle robe vecchie, a chiudere conti, due lavatrici, dormire. E a guardare in trance il contatore dei post di Facebook sulla mia bacheca che cresceva e cresceva, e ascoltare i blip delle notifiche su Whatsapp, dai soliti e persino da gente inaspettata. Mia madre, 75 anni ad agosto, mi ha inoltrato un bel video con dieci rose per la salute e la fortuina; le mie nipoti, un vocale in stereo; un buon trenta per cento dei messaggi erano pigramente e  sornionamente doppi con la mimosa. Son sempre loro, le cerchie: la famiglia, anche quella allargata, i colleghi di lavoro, la parrocchia, le associazioni, i movimenti le équipes, il quartiere e il coordinamento di zona, i ragazzetti ormai diventati adulti che mi fanno i complimenti chiamamdomi s

Fuori dal didentro

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Alla fine non ci hanno chiusi. Ci han messo nella condizione dell'elastico, quello sì, oggi esci, domani no, dopodomani solo quelli con gli occhi azzurri, domenica solo le femmine col cognome dispari.  E la realitycounts si è giocata due mesi di rincorsa a finire un monteore abbandonato entro capodanno, a organizzare pranzi di Natale in differita, cappelletti in brodo da asporto, regali aperti a tappe, a ricominciare a fare il lavoro vero, non la vacanza di due anni al reference e ai laboratori per i bambini.  In treno ho dormito, ascoltato musica arrugginita (Spotify santo subito), e meditato il da farsi. Il da farsi è finito e cominciato stasera, con un consiglio non richiesto di buttare venti euro per mettermi alla prova, e uno inaspettato di evitare l'austerità del memento mori delle quaresime tradizionali. Quaranta giorni in cui essere felici, ha detto quel prete matto con lo sciarpone nero sopra la casula viola.  E dài e dài, ho deciso di farmi un regalo.  Io