MORTO CHE PARLA


 

Che oggi mi ero presa un giorno di ferie perché sarei andata fin su qualche collina dei dintorni per stare seduta al vento e al sole a riflettere sulla vita, l'universo e tutto quanto.

E invece son rimasta chiusa in casa a far vuoto in camera delle robe vecchie, a chiudere conti, due lavatrici, dormire.

E a guardare in trance il contatore dei post di Facebook sulla mia bacheca che cresceva e cresceva, e ascoltare i blip delle notifiche su Whatsapp, dai soliti e persino da gente inaspettata.

Mia madre, 75 anni ad agosto, mi ha inoltrato un bel video con dieci rose per la salute e la fortuina; le mie nipoti, un vocale in stereo; un buon trenta per cento dei messaggi erano pigramente e  sornionamente doppi con la mimosa.

Son sempre loro, le cerchie: la famiglia, anche quella allargata, i colleghi di lavoro, la parrocchia, le associazioni, i movimenti le équipes, il quartiere e il coordinamento di zona, i ragazzetti ormai diventati adulti che mi fanno i complimenti chiamamdomi sage, perchè è tipo wise "ma quando sei in là con gli anni" (sono fiera di Davide che non ha paura di niente, perchè un po' l'ho cresciuto anch'io). 

 Le mamme e i papà dei compagni di scuola dei figli, ormai amici intimi sempre in attesa della bevuta celebrativa e definitiva di fine lockdown; i vecchi compagni di scuola diventati mamme e papà; gli incontri casuali diventati relazioni profonde; gli studenti grintosi della scuola di ebraico biblico, dove nonostante le candeline sulla torta, abbasso notevolmente la media dell'età; i vecchi colleghi universitari a cui mi lega una qualche antica fede laica.

E poi persone, a volte neanche mai viste né toccate, che in quelle fedi laiche sono fratelli e sorelle:  l'Alaska state of mind, le canzoni fuori dal tempo quando fuori è mattina presto, le genitorialità non biologiche, gli attori carismatici, le isole tropicali abitate da orsi polari. E invece di bere alla mia salute, stasera così, come in foto, in attesa di ospitare l'ennesimo ingresso in videoconferenza ormai parte integrante del nostro vivere quotidiano.

E penso: a come ridevamo delle storie di fantascienza dove la gente si videochiamava e ci domandavamo come mai non aveva ancora attecchito questa cosa nella nostra realtà di tutti i giorni. E a come è bastato un anno per capire di aver bisogno di guardarci in faccia per sapere di essere vivi. E come sospiravamo guardando le stelle e pensando a quando le avremmo toccate. E oggi ci esaltiamo davanti a razzi fratelli alti cinquanta metri che fanno un voletto di dieci chilometri e poi fracassano a terra in una palla di fuoco, e quelle stelle ci sembrano sempre più vicine.

E penso a quel morto che parla, di cui la mia età da oggi porta il segno. A come mi sono sfregata le mani, fin quasi a farle sanguinare, poche settimane prima che qualcuno, chissà dove nella stanza dei bottoni, pensasse bene di inventarsi il coprifuoco. A come ho riaperto armadi, porte, libri e vecchi taccuini ingialliti; a come mi sono messa in gioco, e come ancora ho intenzione di mettermi.

A come siamo invecchiati bene, coi nostri sorrisi malinconici che sanno di mosto d'uva. 

 

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